Genderless: La Moda Diventa Fluida


Antonella D'Eri Viesti
Sono ormai lontani e superati i tempi in cui uomini e donne vestivano abiti completamente diversi. Quante scene di film abbiamo visto in cui lei, svegliandosi al mattino, indossava la camicia o il maglione di lui. E non è una questione di disparità di genere se spesso le donne hanno indossato capi maschili e non viceversa, ma è semplicemente una questione di comodità. Infatti gli uomini non hanno potuto indossare, nella storia, abiti definiti propriamente femminili per un fatto di taglia. Ad un uomo, di solito, i vestiti delle donne non entrano. È possibile, invece, il contrario.
Le ultime collezioni, quelle autunno inverno 2020-2021, ci hanno aiutato a comprendere come si stia diffondendo sempre più a macchia d'olio, tra gli stilisti, questo desiderio di proporre abiti che non demarchino più il sesso femminile e il sesso maschile, ma che siano molto più morbide e fluide, capaci di adattarsi ai cambiamenti del periodo e alle sue necessità. Tra Milano e Parigi la moda genderless si è imposta come il bisogno di interpretare i tempi che cambiano. Nomi come Valentino, Givenchy, Galliano hanno dato vita a collezioni a-gender, con capi e accessori che possono essere utilizzati da uomini, donne o esseri umani di qualsivoglia genere, fino all'apertura delle passerelle e delle pubblicità a modelle transessuali come Valentina Sampaio e Hari Nef, che hanno indossato le collezioni di Victoria's Secret.
Perché prestare attenzione alla tendenza genderless
Ma perché si dovrebbe prestare attenzione a questo cambiamento? È solo una questione di stile, oppure si sta assistendo ad un cambiamento epocale della percezione del sé? Opteremmo più per la seconda. Effettivamente non è solo una variazione dello stile e del fare moda, ma al contrario è la moda che sta segnalando una mutazione dell’intendere se stessi nel contesto sociale e relazionale.
Con le battaglie condotte impetuosamente negli anni Settanta dai movimenti femministi per i diritti delle donne, si è giunti ad una parità di genere, superandola e cercando di approdare ad un rispetto ed esaltazione delle diversità. Ognuno deve auto- determinarsi per ciò che è. Se da una parte il femminismo più recente ha puntato ad un rispetto e ad un riconoscimento di tutte le diversità sul piano sessuale e di genere, la moda non può fare altro che comprendere questo nuovo assetto e proporre qualcosa di nuovo.
Per abbattere gli stereotipi classici dell’essere donna e dell’essere uomo, quindi, si punta ad una tendenza che vede una progressiva cancellazione delle differenze abissali tra l’armadio di lui e l’armadio di lei.
Che cosa comunica un vestito rispetto al gender
Il vestito, infatti, non è semplicemente il capo con cui copriamo il nostro corpo, ma parla di noi, di ciò che vogliamo, di ciò che siamo. E se da una parte gli uomini non sono più i machi tutto lavoro e carriera, dall’altra parte neanche le donne sono più le mamme e le casalinghe di una volta. Per non parlare di figure stereotipate come quella del fascino dell’uomo in divisa o della sensualità della segretaria d’ufficio. E non bisogna neanche dimenticare tutti i movimenti LGBTQUI che hanno rivendicato i diritti delle altre fazioni sessuali e di genere che si sono trovate ad avere finalmente voce in capitolo anche nel mondo della moda. Per semplificare, quindi, un mondo che non corre più su due binari differenti, ma che fluttua leggiadro nell’aria, bisogna alleggerire anche il guardaroba e se si possono scegliere in un unico contenitore gli abiti per tutti nel rispetto delle differenze e della personalità di ognuno, ben venga.
L'esempio di Chanel: la prima donna fuori dal gender
La prima che ebbe un’intuizione di questo tipo fu Coco Chanel, quando stanca di indossare i soliti abiti femminili, puntò al tailleur femminile, proponendo il pantalone per la donna. Fino ad allora le donne potevano indossare i pantaloni solo per andare a cavallo; grazie a Chanel, invece, il pantalone diventa un oggetto che entra prepotentemente anche nell’armadio delle donne, liberandole dall’ossessione e dal timore di non poter allargare anche solo di qualche centimetro le gambe, assumendo sempre posizioni costringenti e serrate. Quella di Chanel fu una vera e propria rivoluzione. Una donna in pantaloni non era solo una questione di comodità e di confort, ma era una questione di liberazione sul piano della personalità. Le donne, da sempre costrette in schemi comportamentali da una società maschilista e patriarcale, iniziano a prendersi un poco di spazio e la rivoluzione viene carpita proprio da un’altra donna, Chanel, che diviene simbolo di emancipazione.
Altri nomi della moda al di là del gender
La storia continua, non solo nel mondo della moda, dove Giorgio Armani inizia già dagli anni Settanta a sfidare la disparità di genere con proposte decisamente più semplici, ma confortevoli e aperte a tipi di personalità differenti, ma anche Jean Paul Gaultier che sfida ogni tendenza maschilista proponendo una gonna per l’uomo. Nulla di strano, perché basti pensare alle culture africane o asiatiche in cui la veste per l’uomo non è di certo un motivo di scherno (in effetti con le alte temperature estive, un vestito è molto più fresco) o alle culture classiche madri dell’odierna cultura occidentale. Greci e Romani sicuramente non erano intimoriti dal dover portare dei lunghi e morbidi pepli.
Anche nel mondo della musica si registrano sempre più personaggi che tendono ad appiattire ogni tipo di differenza di genere con stili che mescolano periodi, generi, mode di tutti i tempi. Boy George negli anni Ottanta si propone come una sorta di angelo neutro in cui non si riesce a distinguere un genere netto, né nella voce né nel modo di vestirsi e di agghindarsi per i suoi indimenticabili videoclip. Stessa cosa avviene in Italia per personaggi come Renato Zero, icona intramontabile di uno stile unico, ripreso a tratti dal più giovane Achille Lauro.
La moda distrugge gli stereotipi legati al gender
Certo, ancora oggi lo scoglio più duro nell’opinione pubblica è che, se una donna vestita da uomo può sembrare anche attraente, misteriosa e originale, un uomo che indossa una maglia rosa o una camicia a fiori (salvo se in stile hawaiano), non viene ancora visto di buon occhio.
Ma le cose stanno cambiando, e in meglio. Le nuove generazioni stufe delle continue diatribe sul genere hanno già pensato a rendersi la vita più facile. Messi da parte trucchi, tacchi, giacche aderentissime e scarpe stringate strette da far male, hanno optato per uno stile genderless che prevede l’uso di pantaloni larghi e tute, felpe oversize, giacche decostruite e gli immancabili classici come i montgomery e i parka, adatti a tutti, ma soprattutto caldi davvero. Anche le scarpe hanno subito la stessa sorte e sono tornate alla ribalta le adidas Stan Smith e le Vans. Ragazzi e ragazze, così, non sembrano più molto diversi, mentre giocano ad annullare dei ruoli che puzzavano di naftalina già da un po’.
Antonella, una content writer, copywriter e content creator. Le parole sono gli strumenti meravigliosi grazie ai quali poter raccontare emozioni, storie e perfino raggiungere obiettivi! Ha un dottorato in filosofia e teoria dei linguaggi e una grande passione per i viaggi, la Nutella e i fashion studies. E se ci pensate bene, si collega tutto: insomma, nella valigia, pronta per la prossima meta, in sostanza c’è sempre un barattolo di Nutella e abiti che la fanno a sentire a suo agio e che siano anche adatti ad ogni occasione.
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