Economia Circolare: Verso una Moda Ecosostenibile

Economia Circolare: Verso una Moda Ecosostenibile | MakersValley Produttori
Giorgia Campagna

Giorgia Campagna

Se inquinamento e cambiamenti climatici dovuti ad un fallimentare modello economico era interesse solo di pochi fino ad una decina di anni fa, l’argomento è oggi ampiamente discusso a livello internazionale. Ci voleva uno sciopero organizzato da una ragazzina svedese di 16 anni per attirare più attenzione sulle problematiche del mondo consumistico in cui viviamo.

All’interno delle dinamiche del consumismo, il settore moda, caratterizzato ormai dalla sovrapproduzione della fast fashion, ricopre un ruolo fondamentale, essendo forse l’emblema di un’economica profondamente sbagliata ed uno dei settori più inquinanti che più ha contribuito allo sviluppo di un’economia lineare e consumistica.

Se un’economia lineare è il problema, l’unica soluzione ormai possibile è un’economia circolare, deontologicamente opposta alla prima. Ma con riferimento specifico al settore moda, cosa vuol dire l’una e cosa l’altra? Quali sono i modelli percorribili esempi di un’economia circolare e quali i benefici per le aziende? 

Economia lineare e fast fashion: un modello fallimentare

L’economia lineare è il modello economico che abbiamo portato avanti negli ultimi 150 anni, e come dice la parola stessa, è un modello che si basa su una linea retta, alla base del quale sta il principio del take-make-dispose (prendi-produci-getta), ovvero: prendiamo risorse dalla natura, produciamo, usiamo il prodotto e lo buttiamo. 

Qual è il problema con questo tipo di modello? Presto detto. Continuiamo a prendere incontrollatamente dalla natura quello che ci serve ed anche molto di più. Quando i processi industriali hanno iniziato a rendere possibile questo tipo di produzione, si pensava forse queste risorse fossero infinite. Ma sorpresa sorpresa, non lo erano! Non ci siamo interessati di come i processi potessero influire sulla natura, senza grandi preoccupazioni per lo smaltimento dei rifiuti che da questi provengono. Per finire, quello che abbiamo prodotto e acquistato, lo usiamo qualche volta per poi buttarlo senza preoccuparci di dove vada a finire. 

Il modello dell’economia lineare nel settore della moda ha raggiunto il suo culmine con il boom della fast fashion. Ma la tanto criticata fast fashion non è di certo cosa recente, rappresenta solo l’apice del tipo di produzione iniziata nell’Ottocento con la nascita delle industrie tessili e che è progredita fino ai giorni nostri. 

Il termine fast fashion fu usato per la prima volta dal New York Times del 1986 in occasione dell’apertura di un negozio Zara a New York, e si riferiva ai tempi molto più veloci necessari per la  produzione di un capo. Da lì a tutta velocità: nel giro di qualche anno siamo passati dalle due tradizionali collezioni, primavera/estate e autunno/inverno, a più di 50 all’anno! Praticamente non facciamo neanche in tempo a comprare un capo che nel frattempo ne è già uscito uno più recente, più alla moda, più tutto. 

Se i nostri nonni compravano perché ne avevano bisogno, noi siamo finiti col comprare per hobby, c’è chi fa jogging, chi bricolage e chi collezione di maglioncini da €9,99!  Dal 2000 al 2014 il numero di acquisti di vestiti del consumatore medio è aumentato del 60%, dimostriamo il benessere economico sulla base di quanti outfit possiamo cambiare, compriamo quindi vestiti che non ci servono, vestiti che metteremo solo una volta per poi buttarli, vestiti per sostituirne di altri che in realtà potrebbero essere riparati o modificati e continuare ad essere indossati.

Ago e filo non vanno più di moda, rammendare una maglietta non “fa figo” quanto averne 40 comprate a meno di 10 euro. Suona familiare? Allora sapete perfettamente di cosa stiamo parlando: tutto ciò è economia lineare alla base di un mondo estremamente consumistico che produce più di 92 milioni di tonnellate di rifiuti all’anno, cifre terrificanti, pure difficili da quantificare. 

La fast fashion è come il cibo spazzatura, dopo la scarica di zuccheri ti lascia solo un saporaccio in bocca. 

-Livia Firth

Economia circolare: un modello economico ecosostenibile

In contrapposizione ad un modello lineare, si propone come  soluzione ed unica via percorribile un’economia circolare. Non è in realtà un concetto del tutto nuovo, si parla di economia circolare da circa un decennio, ma solo negli ultimi anni la discussione ha iniziato ad attirare l’attenzione a causa di un maggiore interesse ai disastri ambientali dovuti all’inquinamento. 

Era il 2010 quando una giovane inglese, Ellen MacArthur, fondatrice dell’omonima fondazione, ha iniziato a parlare di economia circolare come alternativa ad un modello economico che mostrava abbondanti cenni di cedimento ed ormai insostenibile. Era il 2010, eppure più di dieci anni dopo se ne parla ancora come fosse una novità. 

 

Economia circolare nella moda

Ma cos’è esattamente un’economia circolare? Secondo la Ellen MacArthur Foundation, un modello economico che, contrariamente a quello lineare, ha l’obiettivo di ridefinire il concetto di crescita, concentrandosi su un impatto positivo e sui benefici che può avere sull’ambiente e sulla società, limitando sprechi, produzione di rifiuti, consumo di risorse e perciò diminuendo l’inquinamento. È un’economia auto-rigenerativa in cui i materiali biologici vengono integrati nella biosfera e quelli tecnici sono progettati per essere rivalorizzati e non  entrarci mai.

A differenza dell’economia lineare, quella circolare si basa sulla formula reduce-reuse-recycle (riduci-riusa-ricicla). Nel settore moda, in particolare, la circular economy si traduce con tre principi fondamentali, secondo cui i prodotti devono essere: 

  • Usati di più: punto cardine di una moda sostenibile, i prodotti devono avere una vita più lunga, il “compra oggi per buttarlo domani” non può più far parte dell’equazione. Non usi più un vestito o quel paio di pantaloni non ti viene più? Va bene, allora puoi donarli a chi ne ha più bisogno, puoi venderli su uno dei siti o delle app disponibili o puoi modificarli e dar loro nuovo aspetto e nuova vita.

    Ci possono essere molte possibilità per far si che un capo non finisca in fila per          essere incenerito, perché per coloro che rispondono “tanto viene riciclato” abbiamo una brutta notizia: la quantità di vestiti che viene realmente riciclata è praticamente  insignificante, solo l’1% dei capi d’abbigliamento viene riciclato, il resto finisce    semplicemente incenerito.

    Inoltre, la maggior parte dei vestiti che compriamo, soprattutto se derivanti dalla fast fashion, non sono riciclabili. Quindi l’unica soluzione è produrre di meno ed usare di più!

Buttare meno, riutilizzare di più

  • Fatti per essere rifatti: inceneritori e discariche non sono contemplati nella visione di economia circolare. I vestiti devono essere prodotti in modo che, giunti al termine di una vita più lunga possibile, possano essere separati e riutilizzati o rifatti da quegli stessi materiali.
  • Fatti con input sicuri e riciclati o rinnovabili: le materie prime devono essere sicure, per l’uomo e per l’ambiente, come anche tutti i processi coinvolti nella produzione e distribuzione dei prodotti, limitando al minimo ogni tipo di emissione e inquinamento dovuto alla produzione. Ciò è possibile utilizzando sostanze ecosostenibili e che non abbiano un terrificante impatto ambientale. Inoltre le materie prime non devono essere vergini, ma ricavate da altri capi, e con l’obiettivo nel lungo termine di impiegare solo materiali biodegradabili: base di una moda ecosostenibile.

Creare vestiti da fibre organiche

Verso un’economia circolare

La necessità di seguire un cambiamento improntato ad un modello circolare, ha portato negli ultimi anni alla creazione di diverse iniziative e piani d’azione, non soltanto da parte di organizzazioni specifiche del settore come la Ellen MacArthur Foundation, che ha un ruolo fondamentale nella promulgazione dei principi dell’economia circolare, ma anche da parte delle istituzioni governative. 

Nel 2015 l’Unione Europea ha sottoscritto il Pacchetto sull’Economia Circolare contenente 54 azioni da intraprendere per dirigersi verso un’economia circolare, sulle cui linee guida nel 2020 è stato creato il Circular Economy Action Plan, che espone tutte le iniziative che l’Unione Europea si impegna a portare avanti per il raggiungimento di un’economia circolare.

Avrete capito che nonostante si parli da un pezzo di economia circolare, se ne fa in realtà ben poca e si sta iniziando solo di recente ad intraprendere azioni concrete. Inoltre, iniziano a diventare sempre di più i casi di grandi aziende che abbracciano concetti di circular economy ma nella realtà dei fatti si tratta solo di un cambiamento irrisorio e di facciata a favore dell’immagine aziendale. 

Economia circolare: benefici per le imprese

Esistono diversi finanziamenti stanziati a livello europeo ma anche nazionale per incentivare le aziende verso una trasformazione di tipo circolare. Ma oltre ai chiari vantaggi da un punto di vista ambientale, quali sono i benefici per le aziende? Perché sappiamo bene che a volte coscienza etica e spirito ambientalista non sono motivi abbastanza forti per spingersi verso cambiamenti così radicali. 

Le aziende che si sono avvicinate a questo modello economico in Italia ci sono, e continuano ad aumentare, secondo uno studio di Legambiente in collaborazione con l’Università di Padova, questi sono i principali benefici che le aziende hanno riscontrato dopo essere passate ad un modello di economia circolare: 

  • Miglioramento della reputazione aziendale
  • Aumento della varietà di prodotti e servizi offerti
  • Riposizionamento del brand
  • Entrata in nuovi mercati
  • Riduzione dei costi

Quindi, se non per l’ambiente, si può fare il grande passo per i benefici aziendali!

Compra meno, usa di più

5 modelli esempi di economia circolare

L’economia circolare presenta cinque modelli di business che possono essere applicati dalle aziende dei vari settori, primo tra tutti quello tessile-abbigliamento:

  1. Prodotto come servizio: questo modello vede il prodotto come un servizio fruibile, la proprietà del prodotto rimane delle imprese che lo mettono a disposizione degli utenti tramite un affitto, noleggio o un leasing. 
  2. Estensione della vita di un prodotto: allungare la vita di un prodotto invece di buttarlo e comprarne uno nuovo. Nel settore moda è possibile rinvigorire e dare nuova vita ai capi, offrendo per altro possibilità di nuove figure lavorative e di riprenderne di più tradizionali. Oppure semplicemente rimettere nel mercato un capo che non indossiamo più e comprarne un altro a sua volta messo in vendita da qualcun altro, è il caso del mercato dell'usato o second-hand.
  3. Trasformazione del prodotto: una rivalorizzazione del prodotto che può avere un grande valore dal punto di vista delle materie prime usate e che possono dare vita a nuovi prodotti anche migliori rispetto a quelli di partenza. Nella moda si parla molto di upcycling, la tendenza che crea appunto capi diversi e migliorati da capi destinati all’incenerimento.
  4. Riciclo: il più classico dei concetti dell’economia circolare, scomporre i prodotti e riutilizzarne le materie prime, evitando così di attingere a materie prime vergini.
  5. Consumo collaborativo o sharing economy: basato sul concetto di una piattaforma di scambio che permette di usufruire di servizi e prodotto condividendoli con gli altri. Dai più consolidati casi di BlaBlaCar e Airbnb alla creazione più recente di un “armadio condiviso” che può rivoluzionare il mondo della moda.

Per ognuno dei modelli indicati si possono trovare esempi provenienti sia dall’Italia che dal mondo e che sono prova di come sia possibile cambiare l’economia a cui siamo abituati. Va da sé che, affinché avvenga il reale cambiamento di un intero settore a favore di un modello economico ecosostenibile, è necessario che tutti questi modelli vengano integrati nella nostra società e che tutte le aziende si muovano nella stessa direzione. Il tempo di agire è ora.

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